23 giugno 2012

Il sindacato e la svolta difficile

Ad un convegno recente, Luigi Angeletti ha osservato che in Italia storicamente il concetto dell'uguaglianza ha vinto sul concetto del merito, portando conseguenze sulla produttività del paese. Infatti, lui sostiene, un sistema giusto è uno che offre le pari opportunità, in modo che chi nasce povero non è condannato a rimanere povero ma ha l'opportunità, alla pari con un altro, di lavorare, produrre, competere, salire.
Peccato, ha concluso Angeletti, che le persone che dovrebbero insegnare a tutti una cultura del merito (gli insegnanti) sono loro stessi premiati solo in base all'anzianità.

L’osservazione di Angeletti, uomo di sinistra e sindacalista, ricorda le riflessioni che fece Michael Young, stratega dei laburisti negli anni cinquanta. La sinistra inglese doveva contrastare il dominio di un elite inglese dei Lord, ancora quasi feudale, aprendo la società anche alle classi sociali meno fortunate. Bisognava dare a tutti le pari opportunità, indipendentemente dalla nascita (attraverso una buona istruzione disponibile a tutti).  E così nacque il termine "meritocrazia".

Un altro approccio ideologico per contrastare il dominio dell'elite era quello dell’uguaglianza: un sistema sovietico, o uno basato da liste di collocamento dove nessuno è considerato diversamente dagli altri, evitava privilegi e ingiustizia. Ma in Italia questa mentalità, sviluppatasi all’interno di un contesto capitalista occidentale, ha prodotto una forte mancanza di concorrenza, di competitività, di utilizzo delle risorse e i talenti. La produttività, rispetto ad altre economie simili, non aumentava e l’economia veniva falsamente sostenuto dalla svalutazione e il lavoro in nero.
 
Ora il sindacato, che ha il dovere di proteggere i diritti acquisiti dei propri iscritti, basati su anzianità e non merito, ha un compito molto difficile. Come farà Angeletti a cambiare la cultura e aiutare a creare una società più giusta e un’economia più produttiva? D’altronde, anche in America i sindacati degli insegnanti hanno una cultura fondata su anzianità e non merito, e non si riesce a fare una riforma scolastica meritocratica. Ma se le giuste considerazioni di Angeletti non vengono applicate in fretta, non solo svaniranno i diritti acquisiti dei lavoratori, ma tutta quanta l’economia e la società italiana.
 

15 maggio 2012

La produttività della spesa pubblica

Siamo nel bel mezzo di un dibattito, in tutti i paesi occidentali, fra i proponenti di politiche dell'Austerità (che proprio questa settimana hanno subito forti sconfitte elettorali, dalla Francia alla Grecia alla Germania), e i tifosi di stimoli per la Crescita.  Se si taglia la spesa, anche mandando a casa persone della pubblica amministrazione, sale la disoccupazione e viene strangolato la crescita economica, è il ritornello a favore delle politiche per la crescita. Infatti l'Italia è entrata ufficialmente in recessione nel primo trimestre del 2012, segnando il terzo trimestre consecutivo di crescita negativa del Pil. In un'economia recessiva è difficile raccogliere abbastanza tasse per coprire la spesa pubblica (compresi gli interessi sul debito pubblico). Dall'altra parte, di questi tempi  è difficile trovare fondi  per lanciare progetti di investimenti pubblici che possano stimolare la crescita. Però esiste un piccolo margine di manovra. In tutti i settori, gli investimenti possono essere più, o meno, produttivi. La Corte dei Conti segnala che in Italia la spesa pubblica ha una bassa produttività. Infatti, nel 2010 i contribuenti italiani hanno finanziato € 151 milioni di permessi, aspettative retribuite, permessi cumulabili e distacchi nella pubblica amministrazione, € 151 milioni di produttività zero. La Corte segnala anche, ad esempio, che ci sono circa 4500 persone che lavorano per la Presidenza del Consiglio. Se per tutto l'apparato di Obama ci lavorano 1796 persone, probabilmente esiste una scarsa produttività a Palazzo Chigi. La produttività è la misura dei risultati ottenuti in un certo lasso di tempo. Nel disperato tentativo di far crescere il paese senza aumentare le spese, il governo deve focalizzare l'attenzione del paese sulla produttività effettiva di ogni centesimo speso.  E gli strumenti per farlo sono trasparenza, misurazione, e meritocrazia. 

06 maggio 2012

Il cervello piccolo delle donne

Quando si parla di leadership femminile, quasi inevitabilmente si cade in lunghe comparazioni fra competenze maschili e quelle femminili. Che è utile più o meno quanto dibattere sulle eventuali implicazioni del fatto che il cervello femminile pesa di meno, in media, di quello maschile - per poi scoprire che la differenza di peso non implica nulla ma rispecchia un pragmatismo della natura: un cervello che pesa meno riesce a stare più commodamente in un cranio più piccolo.
Questo ci viene ricordato da un articolo pubblicato sul Corriere della Sera che raccoglie le ultime conclusioni delle ricerche sul cervello: non esistono differenze sostanziali fra i sessi da questo punto di vista.
Certamente il corpo fisico manifesta differenze; certamente gli ormoni prodotti sono diversi. Ma è pericoloso trarre conclusioni in base ad evidenze solo circostanziali. Una volta qualcuno sosteneva che la pelle nera poteva essere associata a minor capacità cognitive rispetto alla pelle bianca. Oggi sappiamo, fra le altre cose, che il cervello ha "plasticità": anche un pò di meditazione (per non parlare dell'amministrazione di psicofarmaci) può alterare la struttura fisica del cervello.
E' sacrosanto celebrare la femminilità, focalizzandosi su differenze per evitare un'eventuale tendenza, nell'evoluzione storica, che la donna "diventi" uomo, ottenendo non solo liberazione e posizioni di leadership, ma il "peggio" delle caratteristiche maschili come l'aggressività o il dominio.
Perché allora non partiamo dal presupposto che le capacità sono individuali; che insegnare alle bambine di voler aspirare solo a diventare deboli principesse non è utile ne a loro ne alla società; che la buona leadership è composta da tante qualità sia "maschili" che "femminili"?
Ma soprattutto: vogliamo continuare a sottoutilizzare, come società, il 50% del pool di talento che abbiamo investito a creare (attraverso l'istruzione), lasciando che il resto del mondo occidentale diventi sempre più produttivo e ricco dell'Italia?
Ultimo punto: c'è chi teme che posti di lavoro e posizioni di leadership sono limitati, e che se "entrano" le donne, qualche maschio dovrà sacrificare il posto. I paurosi ci saranno sempre, ma mentre loro si agrappano ad un mondo vecchio di rigidità e sussidi, gli imprenditori dell'era digitale e globale vanno avanti, creano, costruiscono, assumono, e l'economia nella sua totalità cresce. Con una premessa però: che ci sia leadership capace. Di qualunque colore, statura, o genere.


Spending Review e segnalazioni dei cittadini

Lodevole l'iniziativa del Ministro per i Rapporti col Parlamento Piero Giarda, di chiedere direttamente ai cittadini i suggerimenti per i tagli alla spesa nella pubblica amministrazione. E non e' una sorpresa se sono arrivati migliaia di email che descrivono casi di spreco, inefficienze, lottizzazione vecchio stile.
Il passo successivo, pero', quello di mettere in ordine una marea di segnalazioni e proposte e di andare a verificare col pettine i casi segnalati, e' arduo.
Perche' il ministero non si organizzi con Delivery Units, come aveva fatto il governo brittanico: piccole  unita' dedicate, ognuna su una tematica, che studiano problemi e soluzioni nella pubblica amministrazione?
Il popolo italiano sta lanciando un appello per poter essere governato in modo equo e secondo criteri meritocratici.

L'Italia strutturalmente non meritocratica

I dati pubblicati dalla Banca d'Italia su reddito e diseguaglianze non solo confermano che l'Italia e'  un pessimo esempio di meritocrazia, ma rivelano allarmanti tendenze al peggioramento.

Se un paese ha, come l'Italia, forti diseguaglianze fra ricchi e poveri, la sua economia e' efficiente solo se il sistema permette e promuove la mobilita' sociale. I dati italiani mostrano all'inverso bassissimi livelli di mobilita' sociale, e la Banca d'Italia riferisce di una percezione allargata che la ricchezza che un cittadino ha non e' in modo rilevante dovuto alle sue scelte individuali.

Invece, il reddito corrente (i guadagni dal lavoro quotidiano) gioca un ruole sempre meno importante rispetto al peso della ricchezza  accumulata, o ereditata, sul totale. Un po' come tornare indietro nel tempo: le chance di un figlio dipendono da padre e nonno, non dalla forza del proprio intelletto, capacita' e volonta'. La sorte decisa gia' alla nascita.

Un altro dato preoccupante e' che la ricchezza invecchia: gli anziani hanno guadagnato ricchezza, negli ultimi anni, a spesa dei giovani. Fra il 1987 e il 2008 e' crollata la ricchezza degli under 30. E se per loro ci potesse essere una notizia ancora piu' nera, e' arrivata: la disoccupazione giovanile e' salita al 32%.

Il governo ha di fronte una sfida davvero forte: deve invertire la rotta e girare completamente la barca: l'Italia deve smettere di navigare verso il passato. E' ora di guardare al futuro.